Sono stati i mondiali della Francia, nell'abito elegante della signora Dorin Habert e dell'imperatore Martin Fourcade.
Sono stati i mondiali della Norvegia, del suo pubblico meraviglioso e del suo re Ole Einar Bjørndalen.
Per l'ennesima volta sua maestà Harald V si è dovuto inchinare difronte al talento e all'immortalità di chi, da anni, continua a regalare emozioni al suo popolo.
Sono stati i mondiali delle due staffette trionfanti per i padroni di casa e della festa commossa e commovente al cospetto di una nazione in visibilio, perché il biathlon in Norvegia è prima di ogni altra cosa una festa nazional popolare.
Sono stati i mondiali dell'ultimo giro della mass start maschile, la gara più bella della rassegna iridata, una di quelle competizioni che racconti e ricordi con piacere anche dopo parecchi anni. E magari in quelle narrazioni epiche troverà spazio anche Emil Hegle Svendsen, fermatosi nel corso dell'ultimo giro per vedere su un maxi schermo, situato a bordo pista, il finale della mass.
Sono stati i mondiali dei record infranti e di quelli mancati per un soffio, numeri che hanno visto in Martin Fourcade un protagonista luminoso come le medaglie che porta al collo e leggendario come la storia che si porta dietro.
Sono stati i mondiali di Laura Dahlmeier e Tiril Ekhoff, atlete dal talento fulgido e dal futuro più che radioso.
Sono stati i mondiali di Johannes Thingnes Bø, della sua delusione per i ripetuti quarti posti e del suo riscatto, culminato con quegli ultimi metri della mass start che sanno di passaggio di testimone, un'eredità pesante e stimolante, che quel ragazzino sfrontato e coraggioso sembra pronto a raccogliere.
Sono stati i mondiali di Dorothea Wierer e del suo argento che ha il sapore della conferma.
Sono stati i mondiali dell'epifania di Dominik Windisch, perché a volte un quarto ed un quinto posto possono valere quanto una medaglia. E questo è certamente il suo caso.
I campionati del mondo di Oslo Holmenkollen sono stati una rassegna pienamente all'altezza delle aspettative, con gare spettacolari, protagonisti di primo livello ed implicazioni emotive degne di una competizione che assegna delle medaglie.
In campo maschile l'uomo copertina non può che essere Martin Fourcade. Il francese torna a casa con 4 titoli nella stessa rassegna iridata, eguagliando quanto fatto da Skejlbreid, Svendsen e Bjørndalen.
Solamente un po' di stanchezza fisiologica, dopo dieci giorni molto intensi dal punto di vista emotivo e fisico, ed un Johannes Bø particolarmete ispirato gli hanno tolto la gioia del quinto oro.
In generale, il transalpino dimostra per l'ennesima volta di essere un atleta superiore rispetto ai rivali dal punto di vista della gestione della gara, alla quale abbina un passo sugli sci devastante ed un'attitudine al poligono, che per precisione e velocità di esecuzione è ai livelli, se non superiore, dei migliori tiratori del circuito.
Gli altri due grandi protagonisti dei mondiali, in campo maschile, sono Ole Einar Bjørndalen e Johannes Bø.
Il quarantaduenne norvegese chiude con una medaglia d'oro, due argenti ed un bronzo: insomma si porta a casa l'argenteria completa.
E sarà difficile trovare posto in una bacheca con 44 medaglie iridate.
La sua capacità di preparare i grandi eventi ha pochi eguali nel panorama delle discipline invernali. Bjørndalen è un fenomeno di longevità ed un mostro per attitudine mentale.
Il mondiale di Johannes Bø, invece, è un crescendo di emozioni.
Non era facile reagire dopo i tre quarti posti ottenuti, tra sprint, inseguimento ed individuale.
Il bersaglio mancato nell'ultimo poligono della 20 km poteva pesare molto nell'economia del suo mondiale; lui, invece, ha tratto da questa esperienza la forza per mettere sul terreno due prestazioni monstre, risultando l'Mvp della staffetta e trionfando nella mass start, con un ultimo giro anche abbastanza sorprendente, conoscendo le sue caratteristiche.
Non sono mancate le delusioni in campo maschile, categoria alla quale potrebbe iscriversi tutta la squadra russa, che chiude il mondiale a quota zero medaglie e con un turbinìo di polemiche interne che non è destinato a spegnersi nel breve periodo.
Ci si attendeva qualcosa in più da Garanichev e Shipulin, soprattutto da quest'ultimo per quanto fatto vedere nel corso della stagione.
Sopra il par anche Simon Schempp, che non brilla particolarmente nelle gare individuali, ma riesce comunque a portare a casa due medaglie d'argento nelle staffette.
In casa Italia spicca il mondiale disputato da Dominik Windisch, con un quarto ed un quinto posto tra mass start e sprint.
Quanto fatto vedere nella gara conclusiva dei campionati del mondo ha probabilmente un valore intrinseco superiore alla vittoria di Canmore, arrivata comunque in condizioni meteo particolari e in un contesto di gara con molti assenti.
La sua mass start, invece, è stata un'autentica prova di forza, testimoniata dal secondo tempo assoluto sugli sci e da un ultimo giro da primo della classe.
La sensazione è che l'Italia abbia trovato un atleta in grado di competere per le prime posizioni già dall'anno prossimo. L'umiltà, certo, non gli manca e lo ha dimostrato in questi anni, migliorando il suo rendimento di stagione in stagione.
Da segnalare, infine, il ritiro dalle competizioni di Christian De Lorenzi, professionista esemplare e punto di riferimento importante per i giovani italiani.
In campo femminile è stato senza dubbio il mondiale di Marie Dorin Habert. La francese riesce nell'impresa di salire sul podio in tutte le gare disputate, vincendo anche tre medaglie d'oro.
Il livello nel settore femminile è sicuramente inferiore rispetto a qualche anno fa, ovvero prima che Dorin si fermasse per maternità.
Neuner, Domracheva e Berger erano atlete di altro livello, capaci spesso e volentieri di stare davanti alla francese.
Oggi Dorin, però, appare più competitiva sugli sci e bravissima a preparare i grandi appuntamenti, come dimostrato l'anno scorso a Kontiolahti.
In due anni è riuscita a vincere tutti i titoli individuali a disposizione, a dimostrazione della maturità e della continuità acquisita.
Di grande livello anche il mondiale di Laura Dahlmeier e Tiril Ekhoff.
La tedesca, libera finalmente dai tanti malanni che l'hanno tormentata, ha mostrato il suo talento, vincendo un oro, un argento e tre bronzi e salendo sul podio in tutte le competizioni disputate.
Positivo anche il rendimento di Tiril Ekhoff, splendida vincitrice della sprint e trascinatrice della sorprendente staffetta femminile.
Ha preparato al meglio questi mondiali e si è visto, nonostante mostri ancora troppi alti e bassi al tiro.
Deludono, invece, Kaisa Makarainen e Gabriela Soukalova. Mentre la suomi ottiene comunque una medaglia nell'ultima gara, la ceca torna mestamente a casa senza neppure un piazzamento tra le prime tre.
Soukalova disputa un mondiale di buon livello, piazzandosi sovente tra le primissime; le manca, però, quella precisione al poligono che l'ha portata a primeggiare nella classifica di Coppa del Mondo e che potrebbe comunque regalargli la vittoria della sfera di cristallo.
L'Italia festeggia l'argento di Dorothea Wierer nell'inseguimento, unica medaglia azzurra di una spedizione da valutare in maniera positiva per i nostri colori.
Probabilmente l'atleta di Rasun-Anterselva non è arrivata a questi mondiali al massimo della condizione, nonostante questo ha avuto la forza mentale di lottare con le migliori e di vincere un argento pesantissimo.
La sua stagione rimane di altissimo livello e questa medaglia non è altro che il premio per quanto mostrato negli ultimi mesi.
Bene anche Lisa Vittozzi e Alexia Runggaldier, con la prima addirittura in grado di qualificarsi per la mass start e la seconda capace di ottenere un piazzamento nella top ten nella 15 km.
Si chiude così un mondiale intenso e ricco di spunti di riflessione.
L'anno prossimo la rassegna iridata farà tappa in quel di Hochfilzen, su una pista impegnativa ed in un contesto di gara che non avrà il fascino della collina di Holmenkollen, ma è stato sovente teatro di sfide appassionanti.