"Il Mondiale dell'affetto". Riparto dalle parole del Ct, Marco Bonitta, per raccontare un'esperienza che ha arricchito di recente lo sport italiano. Qualche giorno di distanza, qualche giorno per riassorbire quel misto di euforia, delusione, ammirazione, adrenalina. Il podio non è tinto d'azzurro, su quei gradini italiani salgono gli Stati Uniti, la Cina, il Brasile. Noi guardiamo dal basso, ma ironia della sorte siamo su un piedistallo ben più alto, perché se c'è una protagonista a cui rendere merito in questa manifestazione è l'Italia.

Inutile negarlo. Al via molte speranze, poche aspettative. Il tonfo al maschile aveva precluso ogni illusione anche in campo femminile, quel poco di ottimismo era il giusto tributo a una rassegna organizzata lungo lo stivale tricolore. La passione che circondava l'evento era pù curiosità che fiducia. L'avvicinamento una montagna, ricca di spine, rocce sporgenti, a cui appendersi senza mollare la presa. L'infortunio di Lucia Bosetti, l'operazione di Francesca Ferretti, un gruppo rivoluzionato. Il destino che pone sulla strada soluzioni forse inattese. Ecco che Bonitta ritrova quasi casualmente Cardullo, una che con la sorte ha un conto aperto da tempo. La invita ad unirsi al gruppo Italia e Paola, senza contratto, accetta. Ritrova amiche di un tempo, Lo Bianco e Costagrande. L'Italia di ieri, completata dal capitano, Piccinini, si fonde con quella di oggi, quella di Chirichella, De Gennaro, Diouf. Ne esce un mix spumeggiante. L'entusiamo e l'esperienza si uniscono come fiume in piena. La goccia che condisce il tutto proviene dagli spalti, dalle urla, dalle bandiere, dai respiri che l'Italia regala alle azzurre.

Un crescendo rossiniano, dalla prima alla seconda fase. Incappiamo in una sola sconfitta, con la Repubblica Dominicana, in una giornata di alti e bassi, in cui non abbiamo Costagrande e in cui Del Core, eroica, rientra dopo una distorsione alla caviglia. Ci accorgiamo che può essere il nostro Mondiale quando stendiamo in sequenza Giappone e Cina. Da testa di serie ci presentiamo alla terza fase, ma il sorteggio, quasi a volerci cacciare nuovamente indietro, ci "dona" Stati Uniti e Russia.

Sulla nazionale di Kiraly mi soffermo con piacere, perché quel giorno, al Forum, teatro della fase finale, siedo a un passo dalla panchina italiana. L'antipasto Brasile - Cina è un esercizio di potenza verdeoro. Con il passare dei minuti cresce l'attesa, fino a quando le azzurre scendono in campo. Un applauso lungo, fragoroso, convinto. Negl'occhi la consapevolezza, la voglia, il carattere. La miglior Italia possibile. Del Core è un esempio di pallavolo totale, De Gennaro un grillo che ovunque arriva, Lo Bianco stordisce centrali altrove dominanti, Centoni un martello. Non sbagliamo niente, siamo semplicemente più brave. 3-0, senza se e senza ma. Kiraly si inchina. Bonitta si piega sulle gambe, stringe i pugni e si lascia andare ad un sorriso, è la sua Nazionale. Chirichella e Diouf paiono veterane, è un'apoteosi, con il pubblico in piedi, pronto a gettarsi in campo. Arrighetti salta, incontenibile. Alla fine abbracci, lacrime, una festa, un'emozione.

Due giorni dopo la Russia, obbligata a vincere. Gamova, per fare un nome che è storia se non leggenda. Per un set e mezzo, con il miglior sestetto in campo, dominiamo, quasi con irridente facilità. Poi Bonitta, con buonsenso, richiama le principali protagoniste, spazio alle seconde linee, che seconde linee non sono. Si soffre un set, ma è 3-1 Italia. Una squadra di 14 giocatrici, non un semplice modo di raccontare o dire quel che accade, ma la più pura verità.

Entriamo in semifinale con la convinzione di essere lì per qualcosa di grande. Con una pressione che per la prima volta entra nella testa. Il Brasile, il divino Brasile, ha appena lasciato la corsa al titolo e quelle due squadre che separano l'Italia dall'oro sono squadre che abbiamo battuto, con merito. La Cina però alza un muro insormontabile, il serbatoio azzurro non è più infinito. C'è spazio per un moto di orgoglio, quello che nel terzo set ci rimette in partita. Aggrappati a una Del Core monumentale sognamo addirittura il tie-break. Il sogno si infrange e i sorrisi si tramutano in lacrime. In finale va la Cina, anche qui con merito. Non è stata la miglior Italia, una regia offuscata di Lo Bianco, un braccio meno incisivo di Costagrande, una sperduta Arrighetti. Emozione, diversa, ma comunque emozione. Sono lacrime di delusione, com'è giusto che sia. Un'occasione persa sul campo, ma dopo aver dato tutto. Il pubblico si trattiene un attimo, quasi sorpreso. Anche il Forum, convinto di avere un invincibile gruppo davanti, si sente perso. Solo un attimo, perché poi sono applausi di conforto, ancor più veementi dopo una sconfitta.

Resta il Brasile, superbo, fin troppo. Una medaglia, quella meno pregiata, eppur enorme. Due a zero, il Brasile è cosa troppo grande. Poi Bonitta svolta e rischia. Concediamo dietro, ma attacchiamo sul filo del coraggio. Anche fuoriclasse come Sheilla, Jaqueline, Fabiana, nulla possono contro quei 202 centimetri azzurri, contro quel volto che pare non trasmettere sentimento, contro quel fenomeno che risponde al nome di Valentina Diouf. Mette giù oltre 30 palloni. Rinveniamo con cuore indomito. Non basta, perché il quinto set è verdeoro, ma poco cambia. Il Mondiale dell'Italia è gigante, si erge fin all'ultimo anello del Forum, ben oltre quel podio sfiorato, ben oltre due sconfitte.