Si spengono le luci. Barcellona chiude i battenti e vara l'inizio del dibattito. La rassegna iridata va in archivio, lasciando spazio a bilanci e considerazioni. Come sta l'Italia natatoria? Boccheggia, verrebbe da rispondere al volo. Malato terminale a Londra, nella piscina olimpica, teatro di disfatte e polemiche, prova a rialzare il capo, ripartendo dalla doppia settimana catalana. Niente di trascendentale intendiamoci. Ci aggrappiamo, come suol farsi nei momenti difficili, alla classe delle nostre stelle più luminose. Risorge Federica Pellegrini, divina del nuoto, star ben oltre i 50 metri della piscina del Palau Sant Jordi. Risorge nell'anno in cui pareva lontana dall'atmosfera agonistica, dalla competizione globale. É argento nella sua gara, i 200 stile libero, di cui conosce vita, morte e miracoli. La cura Lucas, la testa sgombra da mille pensieri e di colpo l'anno sabbatico diventa l'anno delle risposte. A chi la dava per finita, a chi non aveva fatto i conti col talento. Si può allenarsi meno, aggiungere un rilassante dorso, al posto di un massacrante 400, ma la classe non va in vacanza. É cosa che non si insegna e non si migliora. Bene o male che sia, campioni si nasce. Si può lavorare su abnegazione, dettagli, attitudine mentale, cura del lavoro, ma il saper nuotare, quello è intrinseco al campione. Il campione,la campionessa in questo caso, grande a tal punto da riemergere dall'acqua, quando par affondato. Federica e Martina. Lei, bronzo a Londra e oro a Barcellona. Il nuoto in acque aperte, il nuoto di fondo, celebra Martina Grimaldi, signora titolata nel porto di Moll de la Fusta. Con lei Rachele Bruno e Alice Franco. Al femminile abbiamo una punta e una squadra, laddove al maschile, con Cleri in chiara flessione, soffriamo parecchio. Privi di re, ci affidiamo alle regine. Tania Cagnotto, cinese d'Europa, dimentica l'annus horribilis 2012, i propositi di addio, e vede Rio sullo sfondo, col sorriso e il sole verdeoro. Sfuma la vittoria, per 10 maledetti centesimi, ma quanto brilla quell'argento, che sa, come per Federica, di rivincita. Per quattro tuffi davanti a He Zi. L'Italia che sogna con lei e soffre con lei, quando esce il temuto verdetto. Avrebbe meritato di vincere forse più altre volte. Poteva starci l'ex aequo. Poco importa. É tornata Tania, regina dei tuffi. Orgoglio azzurro, con al collo anche l'argento nel sincro e con quel quarto posto da 3m figlio di stanchezza. Peccato per Maria Marconi. Un errore vanifica la gara della vita. Ma lo ha detto lei stessa “Questa è un'altra Maria Marconi”. E allora benvenuta, o meglio bentornata, anche a lei. L'ultima gioia ha finalmente volto maschile. Gregorio Paltrinieri restituisce nobiltà al mezzofondo azzurro, con il bronzo nei 1500 sl, dopo una gara intelligente, non lontano dal mostro Sun. Sul podio, allenandosi meno degli altri. Poi quelli che una medaglia non l'hanno messa al collo, ma hanno certamente portato in alto il tricolore. Rivolta ha ridato vita al nostro delfino, Codia è esploso nei 50, Martina De Memme ha raggiunto la finale degli 800.
Finiscono qui, poche purtroppo, le note liete. Tempo di pensare a ciò che ancora una volta non ha funzionato nella spedizione azzurra. Scozzoli e Bianchi, da loro ci si aspettava ben altro. Fabio ha nuotato sempre sotto al 1', ma come a Londra gli è mancato l'affondo decisivo, la zampata nel momento clou. Lui famoso per avere quel quid in più, quel repentino allungo, non è riuscito ad andar oltre. E con lui Ilaria, sorpresa in terra d'Inghilterra, e qui lontana. Il 57”27 olimpico, che è anche record italiano, è rimasto un miraggio, come la possibilità di giocarsi un posto sul podio. Soffre la velocità. Orsi ha tradito nei 50 sl, Dotto ha sì raggiunto la seconda finale consecutiva, ma par come bloccato quel percorso di crescita iniziato a Shanghai e spentosi a Londra. Filippo Magnini par giunto al canto del cigno. Per anni ci siamo aggrappati a Pippo, alla sua immensa capacità di estrarre da se stesso il meglio nei momenti caldi. Due volte sul trono dei 100, specialità bella, quanto indomabile. Quasi impossibile concedere il bis e chissà cosa sarebbe successo se non fosse giunta l'era dei super costumi. Non resta che ringraziare Re Magno e guardare oltre. Come nel binomio 200-400, dove figli di Rosolino e Brembilla, abbiamo smesso di crescere. La staffetta 4x200 sl, da sempre simbolo di un movimento, ancora una volta ha emesso una condanna severa. L'Italia non c'è, proprio lì dove dominava l'Europa. Non va meglio in campo femminile. Vuoti incolmabili a rana, a dorso (servirebbe Federica, anche qui...), sulle lunghe distanze dello stile. Serve programmare, modernizzare, sfruttare i nuotatori di maggior classe per trainare gli altri. Fornire strutture all'avanguardia per prepararsi come si deve a un appuntamento come quello di Rio 2016. L'ora dell'attesa è conclusa, è tempo di muoversi, è tempo di tornare a nuotare davvero.
Tra le corsie, come nella bagarre della pallanuoto. Conti e Campagna devono ricreare gli automatismi che hanno portato al vertice Setterosa e Settebello. Le azzurre sono in fase di ricostruzione e più indietro rispetto ai ragazzi, ma una scossa serve comunque. Con la Grecia hanno dimostrato di avere carattere, ma non basta. Tempesti, monumentale come sempre, ha provato a tenere in piedi gli ormai ex campioni del mondo. Difesa e organizzazione, poco più. L'Italia ha faticato non poco a trovare la via del gol e al primo vero appuntamento, contro una squadra di livello, ha preso una sberla colossale. Ben oltre il punteggio finale. Ivovic e il Montenegro hanno messo a nudo i limiti attuali del Settebello. La Croazia, nella finale per il bronzo, non ha fatto altro che confermare le preoccupanti impressioni della semifinale.
Lasciare Barcellona quindi, partendo da Barcellona. Capendo Barcellona. L'acqua catalana come input della svolta. Il coraggio delle idee e del cambiamento per tornare grandi. Per avvicinare l'Europa, prima di tornare a guardare il mondo.