Carla Suarez Navarro è una delle tenniste più apprezzate del circuito. Non ha un fisico imponente, è una ragazza normale, dotata però di un talento straordinario. Un tennis di fioretto il suo, fatto di qualità e variazioni, un gioco che piace a chi osserva, costruito sull'idea più che sulla forza. Oggi, Carla bussa alla porta delle prime dieci posizioni mondiali, dopo un passaggio "silenzioso" sul cemento americano. Qualche acciacco, un'apparizione in sordina a Miami - fuori subito con Coco Vandeweghe - nulla che possa cancellare l'ottimo scorcio di 2016.
Brilla il successo a Doha, un torneo chiuso con l'affermazione sulla giovane Ostapenko dopo la rivincita con Agnieszka Radwanska, polacca fatale alla Suarez a Melbourne.
Un pizzico d'Italia nel futuro, alle porte la sfida in Fed Cup con le azzurre. Si gioca sul rosso, un momento di svolta della stagione, perché proprio sulla terra la spagnola riesce a trarre maggior profitto dal suo stile di gioco.
La redazione spagnola di VAVEL raggiunge la Suarez Navarro per raccogliere le sensazioni della nativa di Las Palmas. Un'intervista fiume che va a toccare non solo il presente, ma intreccia fili lontani. La scelta di impugnare la racchetta, l'approdo nell'elite mondiale, le sfide di maggior interesse, uno sguardo al futuro. Il mondo di Carla Suarez Navarro è ricco e variegato, come il suo tennis, un manifesto del circuito femminile.
Sembra che siano già ricordi lontani, però ci può raccontare i suoi inizi, prima di trasferirsi nella penisola?
Praticavo diversi sport prima del tennis. Facevo basket, nuoto e per avere un altro pomeriggio occupato, mi sono iscritta ad un’attività extrascolastica nel mio istituto, il tennis. Mi è piaciuto poco a poco. Inoltre, per caso, i miei vicini giocavano a tennis, mia madre chiese loro dove lo praticavano, con Alfonso Pérez. Così siamo andati a quel club e la prima persona che mi ha visto ha poi detto a mio padre “questa ragazza ha predisposizione”. Ho cominciato prima per due giorni, poi tre, poi cinque e a undici anni mi hanno fatto scegliere: o il basket o il tennis. Non so perché, ma ho scelto la racchetta.
Era una bambina, il tempo sempre maggiore che dedicava allo sport ha finito con l’influenzare lo studio?
Ho continuato a studiare, quando avevo 16 anni abbiamo deciso che avrei iniziato ad allenarmi anche la mattina, così ho frequentato, ma a distanza. Mia madre mi faceva lezione e mi hanno reso tutto possibile. È arrivato un momento in cui andavo a scuola solo per le interrogazioni p i compiti, fio a che non ho preso il diploma.
Poi si è trasferita a Barcellona. Cosa l’ha portata a prendere questa decisione?
Volevo cambiare, perché nelle Canarie era tutto abbastanza limitato, non andavo avanti quanto volevo. Quando viaggiavo per i tornei vedevo che c’era un gruppo di ragazze di un’accademia qui a Barcellona, così ho detto a mio padre che pensavo fosse arrivato il momento di andare, perché volevo cambiare. I miei genitori mi hanno sostenuta nella mia scelta.
Come ha conosciuto Xavi Budó, che la segue ancora oggi da allora?
Lui aveva un’accademia, la Pro-Ab, ed io lo avevo visto qualche volta, insieme a Marc Casabó. Però non avevo rapporti personali con loro, solo con le ragazze, che mi dicevano di essere contente, si allenavano bene. Mi ricordo di aver parlato prima con Marc, dicendogli che avevo bisogno di un cambiamento e lui, che mi aveva visto un po’ giocare, parlò con Xavi. Così mi dissero che potevo unirmi a loro.
Che importanza ha il suo allenatore per lei?
A partire da allora ho iniziato a conoscerlo. Prima però si occupava poco del campo da tennis, io passavo più tempo con Marc, anche se alcuni viaggi li facevo con Xavi, che invece si occupava più della parte mentale, di quello che non si vede. Con il passare del tempo Xavi ha iniziato a viaggiare di più, ad essere un po’ più coinvolto e questo alla fine è molto importante, perché è la persona che mi ha saputo coltivare. Mi conosce perfettamente, sa quello di cui ho bisogno ed in quale momento, è una persona fondamentale per me.
Quale tennista aveva come riferimento quando era piccola?
È strano, ma io vedevo poco il tennis. Mi divertivo tantissimo a giocare, ma non lo seguivo, forse perché non mandavano neanche troppe partite in televisione. C’era una belga, Justine Henin, che era bassina, faceva il rovescio con una mano come me e andava bene sulla terra battuta, per questo la seguivo.
La gloria di Doha
Chi l’avrebbe mai detto che avrebbe vissuto la grande esperienza di Doha. Lei, che sosteneva che raggiungere la top ten già le sembrava straordinario, si colloca sesta nel WTA.
Quando sei tra i primi dieci, è richiesta una regolarità alta, oltre a vincere i grandi tornei, dove ci sono molti punti in palio. Quella di Doha è stata una gran bella settimana.
In quella partita ha avuto una reazione straordinaria dopo lo svantaggio. Cosa l’ha portata a dare una svolta alle sorti della partita?
Stavo giocando con una ragazza molto agile, davvero sciolta, ma la partita era molto lunga e ho pensato che fosse arrivato il mio momento, non sarebbe stato facile per lei chiudere la partita. Alla fine devi solo pensare positivo, lottare fino a che l’incontro non finisce. Piano piano ho avuto buone sensazioni e fortunatamente ho vinto.
Prima parlava dell’importanza della regolarità. Come spiega il momento difficile che ha avuto lo scorso anno dopo essere stata sconfitta dalla Pennetta nel terzo round del Roland Garros?
Sono stati momenti difficili, perché avevo avuto un inizio abbastanza buono, il migliore della mia carriera, con molte partite, molte ore sul campo. Lo stavo gestendo bene, ma è arrivato un momento nella stagione in cui mi è diventato pesante, non riuscivo a sopportare bene ne mentalmente né fisicamente. A questi livelli, quando perdi la fiducia non è facile recuperarla, perché tutti hanno un livello molto alto. Così sono arrivate le sconfitte. Non sapevo come far finire questo momento, ma alla fine è sempre la stessa cosa: devi avere pazienza, aspettare, parlare con gli allenatori, cercare il modo di ritrovare la fiducia e alla fine ho concluso la stagione giocando bene in Asia.
Da quale errore commesso durante la sua carriera sportiva ha avuto una lezione che le è poi servita in futuro?
Anche se si impara moltissimo, è difficile non sbagliare, perché è una presa di decisioni costante. Sbagli di più programmando l’agenda che non nelle scelte che fai giorno per giorni. A volte vuoi giocare tanto e sbagli, perché si possono rischiare gli infortuni. Nell’aprile del 2010 ho deciso di giocare in un momento che non era giusto, così mi sono fatta male alla caviglia. Se potessi tornare indietro per cambiare quelle due settimane lo farei.
Aspettando la Fed Cup
La distorsione della caviglia l’ha condizionata negli ultimi due tornei, ad Indian Wells, al quale non ha potuto prendere parte, e a Miami, dove ha perso non essendosi potuta allenare sufficientemente. Crede che la Fed Cup possa aiutarla a recuperare le buone sensazioni di Doha?
Sono cose che possono succedere, gareggiamo tante volte in molte settimane e non si può star sempre bene fisicamente. L’infortunio è arrivato in un brutto momento, ma è tutto già dimenticato e la Fed Cup mi più aiutare a giocare due partire, a prendere un po’ più di ritmo sulla terra e a concentrarmi meglio. Non vedo l’ora.
In più di un’occasione ha parlato di pressione nel mondo del tennis. A quale tipo di situazioni si riferisce?
Quando sali il ranking, la gente si aspetta di più da te ed i media si interessano di più a te, così non hai tempo per te stesso, per stare tranquillo. Si tratta di come focalizzi i tuoi pensieri, ma la pressione è voler stare più in alto, sapere che vuoi ottenere più punti. Se vuoi far bene devi ottenere risultati migliori e non sempre succede. Sono cose che la mente deve gestire, bisogna avere pazienza.
Pensa che vada meglio ai tornei importanti perché ha un giorno di riposo tra le partite?
Sì. All’inizio, quando giocavo i tornei di una settimana, nei quali avevo partite quasi ogni giorno, notavo che mi faceva molto bene il riposo dei Grand Slam. Sei anche più motivato, perché i grandi tornei sono quelli che hanno più riscontro, si possono ottenere più punti. Incoscientemente davo loro più importanza, ma mi sbagliavo, perché i piccoli tornei aiutano tantissimo. Ora l’ho capito e so dare la stessa importanza a tutti.
Continuerà a partecipare ai doppi dopo le Olimpiadi di Rio?
Mi piacerebbe giocare qualche doppio, ma con Garbiñe non credo che continuerò a farlo, finiremo il nostro percorso alle Olimpiadi. Mi piacerebbe continuare con i doppi, forse quest’anno non ne farò molti, ma l’anno prossimo vorrei giocarne qualcuno in più.
In qualche occasione ha detto che non intende aspettare più del necessario il momento del ritiro dal tennis. Come si vede da qui a cinque anni?
Tra cinque anni giocherò ancora, mi piacerebbe giocare fino ai 32-33, ma credo che dopo il tennis ci sia la vita. Passiamo tanti anni a dedicarci a questo sport, che costa molto sacrificio. La gente forse non riesce a capirlo, ma passando tante settimane fuori casa sei solo e fisicamente il corpo non regge più come quando avevi 18 anni. Da qui a cinque anni credo che continuerò a giocare, ma non penso che andrò avanti per molto tempo, anche se tutto dipenderà dalla motivazione, dal ranking e dagli obiettivi.
Se non fosse stata tennista, cosa sarebbe stata?
È una domanda che mi fanno sempre e penso che ogni volta rispondo qualcosa di diverso, perché non lo so. Ho fatto la tennista per tutta la vita, quindi scegliere uno stile di vita diverso è complicato, ma sarebbe comunque qualcosa legato allo sport.
Faccio la domanda in un altro modo: se avesse più tempo libero, come lo occuperebbe?
Mi piacerebbe studiare qualcosa in relazione allo sport, come educazione fisica, ma è complicato. Nel 2010/2011, vivevo qui da tre anni e mi ero iscritta all’Università per studiare CAFE (Scienze Motorie in Italia). Anche se i primi tre mesi sono riuscita a seguire le lezioni e mi sono divertita tanto, come ho iniziato a viaggiare mi sono resa conto che era impossibile, così ho lasciato.
Le promesse del tennis e Serena
Ha gareggiato contro alcune delle tenniste più promettenti del circuito. Quali di loro vede con maggiori prospettive?
Garbiñe è una tennista che ha futuro e molto potenziale. Poi c’è Bencic, che è molto giovane, ma le auguro un bel futuro. Kasatkina ha un ottimo allenatore e, se è in grado di coltivarla mentalmente, sarà una di quelle che saranno sempre lì. Chiaramente c’è Badosa, che sarà una delle migliori tenniste.
La sua avversaria più ostica?
Senza dubbio Serena Williams. Mi sono confrontata con tutte le prime 30-40 tenniste e, lasciando stare se ho perso o vinto, ho potuto competere. Chi invece non mi ha lasciato mai margine ad oggi è Serena.
Confrontarsi a una tennista come lei l’ha colpita?
La prima volta colpisce tanto, per quello che è. Lei è la numero uno, per tutto quello che ha vinto, ma quando la conosci e ti ritrovi a gareggiare con lei per la seconda volta, è un’altra partita. Ha uno stile di gioco che mi sfavorisce tanto e mi costa molto gareggiare con lei, è una spina nel fianco. Spero di riuscire misurarmi di nuovo con lei e magari ottenere un risultato migliore.
Come vede da fuori la “crisi” che sta attraversando un altro grande di questo sport, Rafa Nadal? Parla con lui?
Parliamo molto poco, perché ci conosciamo appena. Sono giocatori che hanno un grande riscontro mediatico, presenziano a molti eventi, è complicato incontrarli. Il problema è che ci aveva abituati così bene, non lasciava le finali, non smetteva di vincere tornei ed ora che è il quinto del mondo ci sembra poco. Ha dimostrato di essere umano, con emozioni, alti e bassi e bisogna dargli tempo. Rafa ci ha dato moltissimo, vogliamo che una persona che da quando aveva 19 anni ha vinto tutto, continui a fare la stessa cosa ora che ne ha 30. La gente deve capire che il tennis è uno sport molto fisico e che fisicamente Rafa non è più lo stesso. Se continua a giocare a tennis, è perché vuole raggiungere degli obiettivi.
Pensa che il tennis femminile sia diventato più popolare negli anni?
Tra di noi ne parliamo. Soprattutto in Spagna, ultimamente si sta parlando di tennis femminile, visti i risultati di Garbiñe ed i miei, così come quelli delle ragazze del doppio. C’è stato un periodo in cui andava forte con Conchita e Arantxa, la gente seguiva tanto il tennis. Poi c’è stato un periodo in cui è stato seguito di meno e da due o tre anni è tornato ad appassionare. Si nota da come parlano quando ti incontrano, sono felici del fatto che si possa vedere in televisione, perché alla fine è uno sport che piace e penso che in Spagna questo riscontro ci sia stato.
Se c’è qualcosa che le persone che la conoscono vedono in lei è l’umiltà.
Dipende da come mi hanno cresciuto e da come vedo la vita. Ho sempre detto che tratto le persone come mi piacerebbe essere trattata e non sai mai come può finire. Quando sei in cima, devi sapere che può succedere qualcosa e puoi tornare in baso, per questo devi trattare tutti nello stesso modo. L’umiltà è sapere che non sarai sempre al top, che la gente non ti vorrà bene per i risultati che otterrai, ma quando smetti di giocare avrai una vita e sarai una persona normale. Siamo esseri umani e abbiamo la fortuna di spiccare in uno sport. Questo ha ripercussioni a livello mediatico, ma alla fine l’umiltà è essere se stessi, sapere che siamo tutti uguali, nessuno è migliore di qualcun altro.
Intervista: Noelia Déniz
Traduzione: Lorenza D'Adderio