Nella storia ultracentenaria del calcio, passato da sport a fenomeno globale e business, c’è un numero oggi invisibile che in tutti i 160 anni di storia del "Football" ha significato qualcosa in più, quel numero utilizzato per identificare chi non giocava a pallone ma a calcio (che è ben diverso), quel numero che ogni bambino sognava e sogna tutt’ora di avere dietro le spalle anche quando gioca all’oratorio con gli amici, cercando di imitare le gesta dei più grandi, un numero entrato nell’immaginario collettivo degli amanti del calcio, uno solo: 10.
Nella religione cattolica il numero perfetto è il 3, ma nel calcio (non me ne vogliano i preti) la perfezione è a due cifre, che compongono quel numero magico che viene dato solamente al prescelto, ossia a colui che tratta il pallone non come una semplice sfera, ma come sorta di monumento che sfida le leggi della gravità e della fisica lasciando a bocca aperta anche chi il calcio non lo ama.
Immaginando di avere una linea immaginaria del tempo, stile “Ritorno al Futuro”, l’identificazione di questo numero, ma soprattutto l’importanza, ha subito una flessione decisamente netta. Come l’occupazione in Italia.
Questo numero viene dato a calciatori ma soprattutto a uomini che incarnano i veri valori e lo spettacolo che deve regalare questo che prima di tutto è uno Sport, che non hanno bisogno di essere giudicati ma solo ammirati e per questo c’è solo un numero che li identifichi.
Il 10 per eccellenza è sicuramente Diego Armando Maradona, l’immedesimazione perfetta di questo numero, il calcio fatto persona; “El Pibe de Oro” ha messo in serio dubbio ogni legge della fisica e quant’altro segnando gol da posizioni che non hanno ne latitudine e longitudine e punizioni quasi sulla linea di porta che si sono insaccate, come un pallina di carta nel cestino quando si gioca con gli amici in classe, sotto il triangolo delimitato dai due legni. Per chi è scettico basta guardare una partita per capire cos’è che può realizzare un vero numero 10. Napoli-Juventus 1985.
Nello stesso periodo, i mitici anni 80’, nei pressi della Mole Antonelliana pennellava punizioni e giocate sopraffine nelle domeniche pomeriggio un certo Platini che nella partita con l’Argentinos Jrs vedrà un suo gol da antologia venire annullato inspiegabilmente.
L’altro Re, ma con più anni alle spalle, è Pelè, capace di segnare con quel numero più di 1200 gol e vincere tre mondiali. Roba praticamente impossibile oggi.
Potrei citarne altri di Veri numeri 10, da Eusebio a Zico e poi Ronaldo, Zidane a Messi. Ci sono poi giocatori che non hanno bisogno di un 10 per essere idolatrati, come Il genio di Johann Cruyff, Van Basten, Mattheus.. una collezione di inestimabile valore.
Oggi, questo numero non riveste più l’importanza che aveva negli anni passati, soprattutto in Italia, forse perché non ci sono dei “geniacci” in grado di sostenere tale peso e vedere quelle due cifre sulla schiena di Pogba, Honda, Jovetic ecc..( che non ce ne vogliano) fa venire i brividi e fa scendere una lacrima, perché nel cuore calcistico di ognuno di noi c’è la consapevolezza che nel nostro calcio il meglio è gia passato; è passato come un uragano, son passate le partite in contemporanea alle 3, sono passati gli anni in cui il nostro campionato era il fiore all’occhiello dell’Europa, in cui si arrivava allo stadio 4 ore prima per gustarsi un Maradona contro Platini o Van Basten e qualsiasi altro campione che militava anche nelle squadre di basso rango, per vedere le Magie dei numeri 10 che per un’ora e mezza facevano dimenticare i problemi che ognuno aveva nella società.
In Italia, il calcio, con il simbolo del 10, è parte della società da sempre, come dagli anni 40’ a 60’ in cui i nostri nonni ricordano in cuor loro e con una nostalgia canaglia le gesta di Meazza a cui hanno dedicato il più nello stadio al mondo, con quel 10 cucito di nerazzurro, di Valentino Mazzola e la leggenda del “Grande Torino”, di Omar Sivori genio e sregolatezza bianconera per concludere con il dualismo Rivera-Mazzola.
I nostri padri ci raccontano del genio del football che è stato Maradona e le magiche giocate di Platini, della Sampdoria tricolore guidata dal miglior Mancini, del “Divin Codino” Baggio amato in tutta Italia e Pallone d’oro, delle punizioni di Zico che assomigliavano a delle sentenze e di altri numeri 10 che hanno fatto la storia del calcio di allora.
A mio figlio racconterò di aver visto Roma avere l’ottavo imperatore di nome Francesco Totti che tutt’ora sta affrontando la sua 23a stagione in giallorosso e del “Pinturicchio” Del Piero che come il miglior pittore pennellava sprazzi di assoluta genialità nel manto erboso di 4 stadi di Torino da lui calcati.
Merita anche un posto nel cuore Totò Di Natale, capace di reistere agli assalti delle "grandi" per amore della sua Udine. Signore.
Racconterò questo perché oggi non c’è nulla da raccontare, il vuoto delle domeniche italiane a cui manca tutto ciò e, se è vero che quando si vola non si può cadere giù, i nostri numeri 10 hanno preso il volo in solitudine e quando un bambino, un ragazzo o un uomo per un’ora e mezza farà dimenticare ad ognuno di noi tutti problemi della società allora sì, si potrà vedere la fine della solitudine dei numeri 10.