A Wembley, nello stadio-tempio del calcio, l'Argentina Campione del mondo è sotto 3-1, quando il pubblico di Londra si alza in piedi ancora una volta per rendere omaggio agli arabeschi di un ragazzo ventenne, piccolo e tarchiato, dal viso scuro e gli occhi furbi da impunito sotto una massa di riccioli incolti, che veste una maglia biancoceleste.
Confuso fra il pubblico, Enzo Bearzot, il commissario tecnico della nazionale italiana, un uomo che del calcio mondiale sa tutto, si alza lentamente e si unisce al coro.
E' un giocatore eccezionale per rapidità di riflessi e tecnica individuale, per come si cala nel calcio moderno, all'europea, senza perdere le caratteristiche di palleggio e fantasia del football sudamericano. Usa soprattutto il sinistro, ma gli basta e avanza. Tocco di interno, di esterno, uno shot molto forte e un tiro preciso. Vede il gioco, partecipa al movimento della squadra, sa arretrare a difendere pur prediligendo l'offensiva. Non è molto alto, ma ha un valido stacco di testa, grazie alla muscolatura forte, elastica. E' sicuramente un asso.
E Menotti scomoda due ombre giganti per completare il ritratto: «Già mi ricorda Puskas e Pelé, e ha ancora margini di progresso. E' un impasto delle qualità dei due, ma in realtà è soprattutto se stesso».
E' soprattutto Diego Armando Maradona.
Diego vede la luce alle 7,05 del mattino, il 30 ottobre 1960; Dona Tota lo ricorda ancora perfettamente, dice. Come quella stella disegnata sul pavimento all'ingresso dell'ospedale...
E' il giorno della nascita, una domenica. E ricorda che eran nate tutte femmine quella notte, solo lui, solo Diego Armando Maradona, un maschio.
E nel tempo altri aneddoti dalle origini incerte si aggiungono alla storia. Come il fatto che nel momento cruciale, l'urlo della madre somigliasse a un «goooool».
L'infanzia del piccolo nel barrio è costellata degli stessi ricordi, gli stessi dolori, le stesse marachelle di cui potrebbero essere protagonisti i diseredati brasiliani nelle favelas di Rio, o gli scugnizzi napoletani. Una vita da comune della strada. Tutti insieme per divertirsi e per lottare contro le avversità. Non vi è possibilità di scelta per i bambini poveri nei sobborghi di Buenos Aires: o la scuola o il lavoro.
E' una famiglia unita quella di Diego, e anche questo è un lusso negli agglomerati mostruosi dove il degrado ambientale si accompagna spesso a quello familiare e morale.
La prima palla gliela regala lo zio, a due anni, e lui se la porta a letto, tenendola abbracciate tutta la notte. Crescendo, comincia a seguire il calcio dei grandi. Come il padre diviene tifoso del Boca, e va con lui a vedere l'esibizione dei campioni celebri, alla Bombonera, nel cuore più italiano di Buenos Aires. Poi ritorna alla sua borgata e, sul Campetto spelacchiato che si chiama Estrella Roja, dà libero spazio alla fantasia inseguendo i suoi sogni.
Che rimanga sempre "Dieguito de la Paternal", quello che il 5 dicembre del 1970 diventa una cipollina. Il numero dieci delle "Cebollitas", la squadra ragazzi dell'Argentinos Juniors di Buenos Aires.
In tre anni vincono cento, forse centocinquanta partite, senza perdere mai, e nel dicembre 1973 segnano l'impresa più ambita, una clamorosa vittoria sulla Banda Roja del River Plate, i giovani del club più ricco e potente della capitale. Vincono 5-4 e la partita la risolve Maradona, superando sette avversari sette, prima di depositare il pallone in rete.
Si diverte un mondo, Dieguito, anche se già diventa famoso, anche se a dodici anni arriva la sua prima intervista televisiva.
Maradona inizia la sua carriera da professionista nell'Argentinos Juniors nel 1976, debuttando il 20 ottobre nella partita contro il Tallers con la maglia numero 16, dieci giorni prima di compiere sedici anni. Poco prima di farlo esordire l'allora allenatore dell'Argentinos Juniors, Juan Carlos Montes, si rivolge a Maradona: "Vai Diego, gioca come sai". In tutta risposta, Diego si presenta con un tunnel al primo avversario che gli si para davanti, Juan Domingo Patricio Cabrera. Inizia così a giocare spezzoni di partite, fino a diventare titolare. I primi gol nell'Argentinos arrivano il 14 novembre dello stesso anno, con una doppietta al San Lorenzo. Nel 1978 diviene capocannoniere del campionato argentino con 22 reti.
Nel 1979 e nel 1980 vince il Pallone d'Oro sudamericano, il premio che spetta al miglior giocatore del continente. Sempre nel 1980 mette già a segno uno dei più bei gol della sua carriera nella partita contro il Deportivo Pereira disputata il 19 febbraio. Lui stesso afferma che si tratta del più bel gol in assoluto da lui realizzato.
Si trasferisce al Boca Juniors, la squadra del cuore del padre, nella trattativa, oltre a un conguaglio pari a 2 milioni di dollari, fanno il percorso inverso Salinas, Santos, Bordón, Zanabria e Randazzo. Per il passaggio alla nuova squadra viene organizzata un'amichevole con l'Argentinos, il 20 febbraio 1981. Maradona gioca il primo tempo con i vecchi compagni e la ripresa con il Boca Juniors. L'amichevole finisce 3-2 per l'Argentinos, con un gol di Maradona. Due giorni dopo il debutto ufficiale alla Bombonera, il Boca vince contro il Talleres per 4-1, con doppietta di Maradona. Un infortunio lo ferma per quattro giornate, e al suo rientro segna 28 gol in 40 partite, guidando il Boca Juniors alla vittoria del Campionato Metropolitano di Apertura 1981.
L'anno successivo, a causa di problemi economici, il Boca Juniors deve privarsi di Maradona, non essendo in grado di pagare il suo trasferimento definitivo. Si fa quindi avanti il Barcellona, con l'offerta di un miliardo e duecentomila peseta spagnole (pari a circa dodici miliardi di lire). L'ufficializzazione arriva solo dopo i Mondiali del 1982, disputati proprio in Spagna e per i quali Maradona, al contrario di quattro anni prima, viene convocato.
Così Maradona emigra in Europa.
Lo sa già lui, lo sa la società e lo sanno anche i tifosi, che naturalmente sono in effervescenza. Il padre viene insultato per la strada, la madre litiga con le vicine di casa. E tutti sono trattati da traditori.
Anche questo è la norma. Ogni calciatore professionista lo sa. Ma Maradona è un genio istintivo. Uno per cui il calcio è passione. E l'amore gli è dovuto. Qualche volta lo rende. O sembra renderlo.
La spedizione ai mondiali non è molto fortunata. Quella di Diego è un fallimento. Lui che ha pianto di rabbia quattro anni prima, per la chiusura di Menotti , ora piange per il trattamento di Gentile, per il delitto di leso calcio che il difensore italiano commette sui campi di Spagna.
Anche l'esordio nel campionato spagnolo porta i segni classici di Diego, i segni del genio. Gol folgoranti e invenzioni sull'erba del Camp Nou che di arte calcistica si intende. Poi il giocattolo comincia a incrinarsi, fra insofferenze e incomprensioni. E poi si rompe. Un'epatite virale lo tiene tre mesi lontano dai campi di gioco. Diego è a pezzi. Dunque anche gli dei si ammalano. Quando riprende, fa ancora in tempo a regalare colpi di rara bravura. E una Coppa di Spagna, strappata al Real Madrid.
Ma non arriva lo scudetto. E questo aggiunge fuoco al malumore che intanto cova sotto la cenere. Perché gli orgogliosi catalani non si accontentano.
ln ogni modo, Barcellona non ama Diego. E Diego non ama Barcellona, questa città così diversa, così lontana dall'anima latina che lui pensava di trovare.
E così Diego diventa inquieto, sognando altri lidi, altri amori. La seconda stagione comincia male. Si lamenta che i compagni lo boicottano (era già successo al Boca, succederà ancora, a Napoli). Diserta gli allenamenti, e anche questo è un ritornello nella sua vita.
Ancora bambino, già detesta quella clausura inutile che nulla aggiunge al suo talento e lede la sua dignità, tenendolo intanto lontano dalla famiglia.
Il "Goicoicidio", così un giornale chiamerà l'entrata assassina di Goicoetchea che frattura il malleolo e strappa i legamenti di Diego Armando Mozart Maraviglia Maradona, si consuma al Camp Nou il 23 novembre 1983. Il recupero è lento e penoso, il ritorno per niente esaltante. Il Maradona spagnolo sembra aver perso la magia. E allora le critiche, fino ad allora sussurrate nei salotti e per le ramblas, diventano un turbine che investe l'orgoglio luciferino di Maradona.
Perché ormai sfociano nel razzismo. Scomparsa la magia del calciatore resta solo il sudacas, il sudamericano, che i catalani disprezzano.
E' tempo di cercare altri lidi, altri porti, su altri mari. Napoli.
La realtà lo colpisce il 5 luglio, a mezzogiorno. E barcolla sotto il peso di una passione primordiale che sessantamila persone gli riversano addosso allo stadio San Paolo. Sessantamila persone presenti solo per assistere alla presentazione di un calciatore. Finalmente Diego è a casa. Nella prima stagione, il Napoli raggiunge una posizione di centro classifica, mentre l'anno successivo ottiene il terzo posto.
Nel mondiale 1986 avviene la consacrazione, il posto d'onore negli Dei del calcio per Maradona. Si giocano i quarti di finale Argentina-Inghilterra.
Mardona segna due Gol leggendari per motivi ben diversi. El Pibe apre le marcature segnando un gol di mano che rompe l'equilibrio dell'incontro e viene erroneamente convalidato dall'arbitro tunisino Ali Bennaceur. Maradona rivendica la legittimità di quel gol come atto di giustizia a seguito della sconfitta patita dagli argentini per mano dei britannici nella guerra delle Falkland del 1982. E' la "Mano de Dios".
Nel secondo gol, c'è tutta l'essenza del gioco del calcio, c'è tutto ciò che sogna un bambino quando prende a calci anche solo una lattina in strada: Maradona prende palla a centrocampo ed inizia una cavalcata gloriosa; ne salta prima due in un colpo solo con una finta di corpo disumana, poi corre e corre dribblando i difensori come fossero birilli ed infine elude anche l'intervento di Peter Shilton, consegnando alla storia il gol piu bello che un occhio umano abbia mai visto. "Barrilete Cosmico".
Il mondiale lo vince l'Argentina battendo 3-2 la Germania Ovest, ma in quel mondiale il vincitore è uno solo: Maradona che viene osannato da un popolo intero.
Tornato a Napoli, Maradona compie l'identica impresa.
Il Napoli vince il suo primo scudetto nel campionato 1986-1987 (allenatore Ottavio Bianchi), battendo dopo trentadue anni la Juventus al"Comunale" di Torino. Il 10 maggio 1987, il Napoli pareggia per 1-1 la partita casalinga con la Fiorentina, conquistando matematicamente il suo primo scudetto. Il Napoli vince anche la sua terza Coppa Italia, vincendo tutte le 13 gare, comprese le due finali disputate contro l'Atalanta. L'accoppiata scudetto/coppa è un'impresa che fino a quel momento è riuscita solo al Grande Torino ed alla Juventus.
Nella stagione 1987-1988, il Napoli di Ottavio Bianchi partecipa per la prima volta alla Coppa dei Campioni, venendo eliminato dopo un doppio confronto con il Real Madrid. In campionato, il Napoli, fino alla ventesima giornata, mantiene cinque punti di vantaggio sulla seconda, quindi si fa superare dal Milan, perdendo quattro delle ultime cinque partite. Maradona è capocannoniere del torneo con 15 reti all'attivo. Nel 1994, un pentito camorrista sostiene che Maradona e compagni abbiano venduto lo scudetto su pressioni del Clan di Giuliano di Forcella che, in caso di vittoria dello scudetto da parte dei partenopei, avrebbe perso decine di miliardi nelle scommesse clandestine, accuse che successivamente si rivelano infondate.
Nel 1989, il Napoli sfiora la tripletta, concludendo il campionato ancora al secondo posto, dietro l'Inter dei record, arrivando in finale di Coppa Italia e vincendo la Coppa UEFA (terzo titolo internazionale), dopo aver battuto nella doppia finale lo Stoccarda (2-1 all'andata e 3-3 al ritorno). Durante l'estate del 1989, Maradona è quasi sul punto di trasferirsi all'Olympique Marsiglia: a un passo dalla firma sul contratto, il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, blocca la trattativa.
Nella stagione 1989-1990, a Bianchi subentra Albertino Bigon. Maradona non gioca le prime partite della stagione e viene sostituito da Gianfranco Zola, rientrando presto in squadra. Il campionato viene riconquistato dal Napoli, con Maradona pronto a presentarsi ai Mondiali fregiandosi del titolo di campione d'Italia.
Stavolta, ad "Italia 90", Maradona non riesce a ripetersi.
L'astuzia la usa sapientemente durante i mondiali, quando porta in finale una disastrata Argentina. E piange di rabbia, quando l'arbitro regala ai tedeschi la vittoria. Piange per quei fischi al suo inno che piovono giù dalle gradinate di quello stadio faraonico che è costato una barca di soldi.La sua Argentina invece trattata peggio del Camerun. Al San Paolo no, però. Al San Paolo per lui piovono solo applausi. E qualche fischio per gli italiani.
L'incantesimo finisce il 17 marzo 1991, dopo un controllo antidoping effettuato al termine della partita di campionato Napoli-Bari (1-0), che da il responso di positività alla cocaina.
L'ultima volta in cui Diego indossa la maglia partenopea.. Un amore durato 6 anni, dove "El Pibe" trova la sua casa, perchè per lui i Napoletani sono come i suoi fratelli, quelli con cui ha diviso la giovinezza a Villa fiorito. Da quel Lontano 1985 a Napoli esistono due santi: San Gennaro e Maradona.
Quello che viene dopo nella sua vita è da cancellare: il tunnel della droga, il coma. Ma sono proprio queste situazioni che fanno crescere umanamente Diego che, dopo una breve parentesi sfortunata da allenatore dell'Argentina, vive la sua routine come nonno e si professa uomo più felice del mondo.
E oggi che compie 55 anni "spericolati" lo festeggiamo con una sua frase di 40 anni fa: «Ho due sogni: il primo è giocare la Coppa del Mondo, il secondo è vincerla»
Auguri Genio.