Vigilia di Ferragosto 2011. Il nuovo Pescara di Zeman viene eliminato dalla Coppa Italia, sconfitta da una coriacea Triestina, squadra di Lega Pro. Una partita folle, mille occasioni, supplementari ed una infinita lotteria di rigori.
Sembra l’antipasto tipicamente Boemo prima di una stagione con tanti punti interrogativi. Qualche mese dopo, tuttavia, quando i ragazzi di Zeman inizieranno a divertirsi e a divertire il pubblico di casa, quello neutrale ed a volte anche quello avversario, tutti si ritrovano sopra la giostra. Volenti o nolenti.
Un calcio fatto di leggerezza, esuberanza, schemi, strapotere atletico e sempre con l’ingordigia di fare un gol in più. Una mentalità che contagia anche i ragazzini a bordo campo che invece di nascondere il pallone, lo buttano in campo velocemente anche in situazione di vantaggio.
La visione di Zeman non poteva non incontrare la mentalità del tifoso Pescarese, figlio fiero di una indimenticabile era di 4-3-3 di Galeoniana memoria. Scoppia l’amore. Amore che sfocia nell’esaltazione e resiste alle ferite profondissime di due morti: quelle di Franco Mancini, preparatore dei portieri e membro storico del Foggia di Zeman, e quella tragica di Piermario Morosini, calciatore del Livorno morto in un bastardo pomeriggio allo stadio Adriatico. Perché è stato un anno indimenticabile anche sul binario del dolore.
Il dolore che viene in parte sconfitto dall’unione che lega questa banda di ragazzi. Un gruppo che Zeman riesce a fare suo con una battuta ed un rimprovero. Con il silenzio e con il lavoro. Sono tutti suoi figli, soprattutto quelli che vedono meno il campo.
Difficile da spiegare. Difficile descrivere l’emozione dei 90 gol segnati, delle uscite pazze di Anania, della forza dirompente di Immobile, di una grandissima difesa da ben 55 gol subiti, di un campionato vinto al 91’ con un gol di Maniero, del completo relax che c’e prima, durante e dopo le partite, del lancio di Verratti per il gol di Insigne contro il Torino. Potrei continuare parlandovi della leadership del “sindaco” Sansovini o della grinta di Matti Nielsen oppure potrei provare a scalfire la naturalezza di un gol di Balzano su cross di Zanon, rispettivamente terzino sinistro e terzino destro.
Ci sono mille altre istantanee che fanno fede all’emozione di questo giro sulla giostra ma non c’è niente che condensa meglio il Pescara di Zeman come quello che succede a Padova. Il Pescara arriva da 3 sconfitte ed è quasi fuori dalla zona playoff. Va a Padova per giocarsi le ultime possibilità di promozione. Zeman entra nello spogliatoio e spiazza i suoi ragazzi: “Stasera voglio vincere 5-0”. Qualche ora dopo si vedono gli occhi lucidi dello stesso Zeman dopo il gol del 6-0 di Cascione. La partita Manifesto dei suoi ragazzi. Sempre un gol in più.
Dopo quella partita, non c’è più storia. Il Pescara le vince tutte, segnando 18 gol in 6 partite. Conquista matematicamente la serie A a Marassi, battendo 3-1 la Sampdoria. Zeman viene portato in trionfo dai suoi ragazzi ed ha un solo ed unico pensiero: Franco Mancini.
Inizia la festa ma contemporaneamente finisce il giro. Per un anno siamo stati tutti sopra la giostra e la giostra è arrivata inaspettatamente al capolinea. Zeman decide di dare ascolto all’irresistibile richiamo della Roma e quando è sull’autobus scoperto per la parata in città, incontra per tre volte il mio sguardo immerso nella folla festante. Per due volte gli urlo di restare. Alla terza mi dice semplicemente “Grazie”.
Zeman mi guarda, sorride, chiude gli occhi e abbassa la testa. Io solo lì che ripenso a quella partita contro la Triestina. La giostra chiude. Le luci si spengono e la serie A sarà solo una corsa ostacoli troppo grande per noi. Una lunga presa di coscienza.
La sincera ammissione che certe emozioni, certi giri e certe giostre si fanno una sola volta nella vita.