In Argentina, nella Provincia di La Rioja, soffia il vento del dolore. Resta, il giorno dopo, l'odore acre dello scontro fatale, la terra racconta di una tragedia inspiegabile, inaccettabile. Grandi di Francia stroncati dal destino. Confesso ignoranza nel raccontare di Alexis Vastine e Florence Arthaud, interpreti nobili di sport come pugilato e vela. Medagliato olimpico il primo, signora dell'Atlantico la seconda. La triste storia coinvolge e stravolge, tanto che si corre a cercare di capire chi è rimasto vittima del fato, scorrendo pagine web e fogli di giornale, racconti e aneddoti. Da lì traggo le loro imprese e mi cibo delle loro vite, straordinarie.
Camille Muffat è invece qualcosa di diverso, perché Camille Muffat, per fortuna, ho potuto "respirarla" da vicino. Estate 2013, Barcellona, Mondiali di nuoto. Valigia e entusiasmo mi portano in Spagna, al Palau Saint Jordi. L'Italia è nel Settebello, nei voli di Tania Cagnotto, nelle bracciate di Gregorio Paltrinieri, ma soprattutto nella classe di Federica Pellegrini. I 200 stile libero la gara più attesa, quella del riscatto. Di fronte a lei Missy Franklin e Camille Muffat.
Seduto, osservo. Il boato che accoglie Camille è spaventoso, bandiere francesi inondano il palazzo, quando Camille ai 100 metri si trascina dietro le avversarie, con il passare delle vasche l'incedere cala, e la Francia scopre il sapore della sconfitta, mentre la Pellegrini è d'argento, splendida. In quel momento, insieme a uno sparuto gruppo di italiani, colgo l'attimo e mi godo un successo, una rivincita, nella memoria la sconfitta di Londra, a cinque cerchi.
Camille Muffat esce dall'acqua e scappa via, ma la Francia si inchina ugualmente alla campionessa, come un anno prima. Perché la Muffat è l'ultima divina di Francia, dopo Laure Manadou. Nel 2012, a Londra, si prende i 400 ed è seconda nei 200, eppure non ha nulla della star. Il volto racconta l'estrema normalità che accompagna Camille, quasi in imbarazzo di fronte a flash e onori. Esulta, con in mano metalli pesanti, ma non vede l'ora di correre via, a casa. La sua vita è in vasca, nell'acqua diventa grande, dai misti, primo amore, allo stile, ma l'acqua strappa a Camille Muffat gli anni migliori, spreme l'atleta e la donna.
Ecco perché, a 25 anni, si può dire basta, dopo aver vinto tutto.
Poche parole mi hanno colpito come quelle di Camille nel giorno dell'addio e nel giorno del trionfo. Le prime non sono direttamente della nuotatrice, ma riportano con esattezza il suo pensiero "Aveva solo voglia di essere felice", le secondo invece sì "Grazie alla sofferenza ho ottenuto questi risultati". Felicità e sofferenza, sentimenti opposti, eppure affini, il lavoro alla base del successo, dal successo alla vita, dalla gloria alla normalità. Camille Muffat, campionessa assurta all'eternità, donna, atleta, l'espressione umana nel mondo dei superuomini e delle superdonne.