Respinta con perdite sanguinose. Questo recita l'ultimo bollettino di casa Halep dopo l'ennesimo tentativo di assalto alla vetta del ranking mondiale del tennis femminile. Cincinnati come Parigi e Wimbledon: Penelope disgraziata, Simona tesse perfettamente la sua tela, ma quando si tratta di dare il tocco finale, ecco l'intoppo che disfa tutto quanto era stato perfettamente fatto prima.
E così il nome di Garbiñe Muguruza si va ad aggiungere a quelli di Jelena Ostapenko - che battendola nella finale di Parigi le ha sbarrato in faccia la porta al doppio sogno di vincere un torneo Slam e issarsi in testa alla classifica Mondiale - e Johanna Konta - epica la battaglia sul Centrale di Wimbledon - nell'elenco degli incubi notturni della tennista di Costanza. E non che nel percorso verso Cincy le cose per la nostra eroina siano andate molto per il verso giusto: a Washington a stenderla ci pensa il solleone prima ancora che la Makarova, mentre a Toronto il cappotto è a firma Svitolina, che chiude con doppio 6-1 la semifinale.
Un inseguimento tanto lungo quanto infruttuoso: eppure colpi e potenzialità per essere la numero uno ci sono, troppo spesso però non corroborati da quel killer instinct che dovrebbe essere bagaglio di ogni campionessa. Di contro, la romena è stata spesso protagonista di inspiegabili black out, con il rischio fortissimo di tramutare in incubo la sua corsa verso il sogno di arrampicarsi più in alto di tutte nella classifica WTA. L'ultimo, in ordine di tempo, ieri sera - ora italiana - sul centrale di Cincinnati, quando una pur straripante Muguruza ha disposto a suo piacimento di una Halep che non sembrava nemmeno scesa in campo. Cinquantasei minuti di dominio assoluto, per prendersi il secondo titolo stagionale dopo Wimbledon e per lanciare la propria personale sfida alla vetta della classifica.
Quel trono che per la Halep sembra tabù come la mitica Numero 1 di Zio Paperone per la fattucchiera Amelia. Una vera e propria maledizione, che si presenta puntuale quanto beffarda ogni qual volta il traguardo sembra alla portata. Per il disdoro della romena e per la contemporanea felicità di Karolina Pliskova, che con annesso sorrisone a 32 denti si gode ancora qualche settimana al piano più alto. A separare le due, la miseria di cinque punti: un'inezia sulla carta, una montagna che pare insormontabile alla prova del campo. E un sogno che si tramuta in ossessione: Mourinho, su questo dualismo, ci scrisse l'epica di una delle sue più grandi pagine da allenatore, chissà che il mago di Setubal non possa dare qualche consiglio alla ragazza partita dalla Romania con un borsone pieno di racchette, palline e voglia di diventare un giorno la migliore.
Nel frattempo c'è da organizzare idee ed energie in vista di un nuovo assalto. Ci sono gli Us Open alle porte, e un'altra chiamata per la vetta. L'ennesima, possibilmente questa volta da cogliere, in una stagione mai come negli ultimi anni così aperta. E se da dietro comincia a montare pericolosa l'onda iberica, all'orizzonte già si staglia il ritorno di Serena Williams - che ha annunciato il come back già per gli Australian Open 2018 - mentre pian piano Maria Sharapova, Petra Kvitova e Vika Azarenka, quest'ultima distratta dalla delicata vicenda legale per la custodia del piccolo figlioletto di appena sette mesi, provano a rimettere insieme i puzzle della loro carriera tennistica. Se non "o ora o mai più", poco davvero ci manca.