Venuto alla ribalta con i singoli Stay With Me e I'm Not The Only One, Sam Smith è senza dubbio uno dei personaggi del momento nel mondo della musica. Fautore di un pop soul semplice con venature da singer-songwriter, ha di recente pubblicato il suo secondo album, The Thrill of it All, a distanza di tre anni dal debutto In The Lonely Hour.
Cantante dalla voce tecnica e calda, Smith sa bene come calibrare perfettamente il suo timbro ai brani; sicuramente è una delle più interessanti in circolazione. Tuttavia, se sulla voce c'è poco da dire, sui pezzi ancora meno: basta ascoltare l'acclamatissimo singolo Too Good At Goodbyes e, di fatto, gli altri si mantengono sulla stessa lunghezza d'onda, senza mai correre un rischio o dare una parvenza di voler sperimentare nuovi orizzonti con il suo stile inconfondibile. In questo album, musicalmente scarno, c'è solo del buon soul: chitarre soffuse, piano onnipresente, cori gospel e fiati (Babe, You Make Me Crazy) che riportano direttamente agli anni Settanta.
Al di là della qualità prettamente musicale, perché Sam Smith dovrebbe rischiare un flop, quando è sicuro che con una base standard soul potrebbe cantare anche la bolletta della luce? Ecco, allora, la chiave d'interpretazione di The Thrill Of It All: una dimostrazione di quello di cui il britannico è capace, con highlights come One Last Song, HIM e Say It First e pezzi meno ispirati come Palace, Burning e Midnight Train (per la quale è stato accusato di plagio a Creep di Radiohead - e in effetti l'arpeggio di chitarra è più che simile). Notevoli i testi, tra incertezze e amore omosessuale, tematica sensibili in questo momento più che mai (la già citata HIM spicca in questo senso).
In conclusione, Sam Smith non deluderà affatto i fan più sfegatati e gli amanti del pop soul tornato di gran moda; resta il rammarico per un album forse troppo "old-fashioned", in cui il cantautore preferisce non rischiare qualcosa di più fresco e restare sui lidi che conosce bene. E, in fondo, è comprensibile.