Dopo oltre trentacinque anni di carriera, sono pochi gli artisti musicali che puntano sempre a migliorarsi, pur non rinnegando il proprio stile tradizionale: è proprio in questa direzione che i Depeche Mode sono tornati sulla scena con il loro quattordicesimo album, quattro anni dopo Delta Machine, con un disco dal titolo Spirit; già dal nome e dalla cover stilizzata ma efficace - e che riprende le tonalità di Playing the Angel (2005) - si comprende la spinosa tematica sociale del nuovo lavoro targato Gahan, Gore e Fletcher: i testi lungo tutto il disco trattano di regressione, dell'ingiustizia che regna nel mondo moderno, conferendo al disco un senso di inquietudine, anche grazie all'ottima capacità interpretativa di un Gahan sempre in forma.

L'album si apre con Going Backwards, pezzo che inizia con un beat accattivante, ma che ha il difetto di essere troppo prolisso con la sua struttura piatta che si sviluppa poco nell'arco dei quasi sei minuti; di tutt'altra caratura la successiva Where's the Revolution, saggiamente scelta come primo singolo estratto: le trame di synth di Gore e Fletcher riescono a sopperire al vuoto lasciato dai versi, creando il terreno perfetto per l'esplosione del chorus, tra i migliori dell'intero lavoro. I Depeche Mode sono in forma, e lo dimostrano con le successive The Worst Crime, Scum e You Move: se la prima è una ballad blueseggiante caratterizzata da un'armonia ridotta all'osso, se si esclude il falso crescendo nel finale, la seconda è in completa opposizione, con un beat infarcito di sintetizzatori e l'emblematico "Pull the trigger", quasi urlato, che risuona come un deciso invito. You Move riprende il mood del brano precedente, presentandosi come un ottimo preludio a quella che è la canzone più riuscita del lotto, vale a dire Cover Me, traccia che per i primi due minuti è una ballad canonica, ma nella secondà metà si trasforma in un outro atmosferico, tutto batteria-synth, da pelle d'oca. Superato il trascurabile intermezzo Eternal, ci si avvia verso il finale dell'album, inevitabilmente di livello inferiore alla prima metà, ma che offre momenti piacevoli con il blues grottesco di Poison Heart, la potenziale hit So Much Love, che con il suo incedere ha tutto per diventare il prossimo singolo, e l'ultimo brano, Fail, struggente conclusione che strizza l'occhio ai Massive Attack. Degni di nota, inoltre, i remix contenuti nell'edizione deluxe, fatta eccezione per quello di "So Much Love", che risulta noioso come pochi.

I Depeche Mode confermano ancora una volta le attese, mantenendo la direzione intrapresa da dieci anni a questa parte con un disco essenziale: le vocals, spesso effettate, sono poste sullo stesso piano di synth, chitarra e batteria, creando una commistione che non stanca, se si escludono alcuni riempitivi (peraltro fisiologici, in un album da dodici tracce) e la già citata "Going Backwards" in apertura del disco. Complessivamente, siamo di fronte ad una prova molto positiva da parte del trio britannico, che conferma il proprio status di pionere del synth pop d'oltremanica.

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