E' paradossalmente difficile fare rap in Italia: se ne trova uno ad ogni angolo, sembra che chiunque sia in grado di poter scrivere un pezzo rap e di potersi improvvisare rapper, al punto che chiunque provi ad emergere viene rigettato nel calderone di clichè e paradossi del rap italiano. E allora ecco che tanti decidono gradualmente di allontanarsi da un mondo molto più "snob" (parola degli stessi addetti ai lavori) di quanto si potesse pensare. Lo ha fatto Jovanotti negli anni '90, lo ha fatto Nesli, e in tanti ne stanno seguendo la scia: tra questi c'è Raige, che ha cercato una svolta melodica per ampliare un pubblico ancora principalmente legato ai giovani meno "fanatici" del rap puro.
Alex è un disco rappresentativo di questo cambiamento, quasi ibrido, dove si alternano pezzi prettamente melodici ad altri che non rinunciano alla dura metrica rap e alla voce metallizzata dei ritornelli, senza rinunciare ad arrangiamenti provenienti principalmente dal mondo hip hop, aggiungendo poi cori molto Coldplay (anche troppo abusati) in gran parte dei pezzi. Si tratta di un album che non ha una sua collocazione specifica, cosa che non rappresenta necessariamente un male, ma visto il risultato sembra una scelta che non abbia pagato eccessivamente. Album che apre con Tempesta, che avrebbe anche un testo carino, ma presenta molti, troppi, punti in comune con Lo stadio di Tiziano Ferro: cori e ritornello quasi identici, e in generale non sembra un brano che possa avere un senso nel disco di uno pseudo-rapper. I brani Domani e Dove finisce il cielo (il secondo degno di nota, tra i più "rap" del disco) erano già stati pubblicati come singoli, così come Il rumore che fa, che aveva alzato le aspettative di un disco già ampiamente proclamato come "spettacolare" dall'autore, ma che non ha pienamente rispettato il livello dell'ottimo singolo di lancio.
Strano che, in un disco di svolta melodica, le cose migliori provengano proprio dal rap: Perfetto, tra i migliori brani del disco, è anche quello più "di genere", insieme a Nemmeno il buio, e anche le strofe di Non c'è niente da ridere appaiono sicuramente tra le migliori produzioni dell'album: in particolare è la qualità dei testi che migliora nettamente nei passaggi rap (nonostante comunque i troppi cliché del rap, da cui nessuno sembra in grado di liberarsi) e questa è forse la cosa che più salta all'occhio al primo ascolto, e anche quella che più dovrebbe far riflettere, soprattutto Raige stesso. Rimane un disco che non è né carne né pesce, che nonostante i proclami non rende come sperato. Rimangono sicuramente degli elementi di buon livello, ma non bastano per portare alla sufficienza un disco che presenta davvero troppi punti deboli. E la scopiazzata di Ferro è imperdonabile.
VOTO: 5+