Addio Enzo, con te Milano perde un altro pezzo della sua storia
(photo: web)

Piove a Milano. Piove a dirotto, forse sono le lacrime di una città che ieri sera ha perso uno dei suoi cantori: Enzo Jannacci se n' è andato, in silenzio, ieri sera nella stanza di una clinica milanese dove da tempo era ricoverato per combattere una disperata battaglia contro una grave malattia. Ironico, pungente, a volte disincantato, altre volte cinico e realista, mai banale; comico, cantastorie, medico: in una parola, anzi in una persona, Enzo Jannacci. 

Generazione Derby - Se oggi si va in via Monterosa, numero civico 84, si trova una palzzina in stile liberty che da una decina d'anni è stata occupata ed è sede del centro sociale Il Cantiere. Negli anni sessanta questa stessa palazzina, all'interno arredata in maniera decisamente anticonvenzionale e con lo spazio esibizioni ridotto a una pedana con pianoforte e batteria, è stato il cuore pulsante della scena artistica milanese. Basta scorrere l'elenco di chi su quel palco ha mosso i primi passi prima di affermarsi nel gotha della comicità non solo in salsa milanese: Diego Abatantuono, Enrico Beruschi, Claudio Bisio, Massimo Boldi, Cochi & Renato, Giorgio Faletti, Enzo Iacchetti, Antonio Ricci, Francesco Salvi, Teo Teocoli, Beppe Viola, umorista prestato al giornalismo sportivo e che di esso ha scritto le pagine forse più belle, anche lui scomparso presto, troppo presto.

E poi lui naturalmente, Enzo Jannacci. Ma il Derby ospitava anche grandi stelle della musica internazionale (come Charles Aznavour, Coltrane, Quincy Jones) e fra i suoi avventori abituali annoverava politici (Bettino Craxi), personaggi dello spettacolo e dello sport (Gianni Rivera, idolo assoluto dell'Enzino, e Pietro Mennea, un altro pezzo di Italia scomparso di recente); non mancavano poi personaggi di dubbia fama, come i gangster Francis Turatello e Luciano Lutring (conosciuto come Il solista del mitra), spesso costretti ad avventurose fughe dal locale all'udire le sirene spiegate con cui la Madama (la Polizia) annunciava il suo arrivo.

Era una Milano totalmente diversa da quella di oggi: era la Milano della mala che si contendeva il controllo delle bische e del mercato della prostituzione, era la Milano delle fabbriche, della speranza per le frotte di Vincenzina che lasciavano le loro terre alla ricerca di un futuro migliore per sè e per i propri figli; era la Milano di Rivera e di Mazzola, ancora lontana parente di quella "Milano da bere" che negli anni ottanta avrebbe portato sulla cresta dell'onda yuppies rampanti, macchinoni e quell'invasività televisiva che pian piano portò al declino e alla fine dei tempi del Derby.

Cantore degli ultimi e ironia pungente - Nelle canzoni di Enzo c'era spesso spazio per gli ultimi, per gli emarginati, sulla falsariga di quanto Fabrizio De Andrè stava facendo a Genova. Ma i toni di Enzo Jannacci erano spesso e volentieri meno dramamtici del colelga genovese, anzi riuscivano a strappare qualche sorriso. E così ecco dipanarsi personaggi entrati nella storia della canzone come lo scalcinato palo della banda dell'Ortica (quello che per vederci non vedeva un'autobotte e in compenso non sentiva niente; quello che anche in pieno giorno era lì fisso che scrutava nella notte, perchè ci vedeva lo stesso tanto la notte quanto il giorno), l'Armando, la Vincenzina alle prese con la dura realtà della fabbrica; o l'innamorato disperato de "La luna l'è ona lampadina", che passa l'intera nottata sotto la finestra della sua amata Lina, con i piedi dolenti mentre lei nell'appartamento flirta con Nino il barbiere. E ancora, Giovanni il telegrafista che proprio tramite il telegrafo scopre che la  sua innamorata si sposa con un altro uomo; e la Veronica, la prostituta ruspante che stava in via Canonica e che svezzava sessualmente i ragazzini, vendendo "il suo amore per una cifra modica, al Carcano, in pè".

Una galleria di personaggi unica e inimitabile, entrate di diritto nell'immaginario collettivo e che continueranno a rimanere tali. Ma Jannacci riusciva ad avere anche uno sguardo pungente e irriverente sulla realtà: e così ecco "Quelli che..." otto minuti in cui vengono messi in luce i difetti dell'italiano medio, fra superstizioni, eccesso di fede calcistica ("Quelli che quando perde l'Inter  o il Milan dicono che in fondo è solo una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli..."), una poltica che fa orecchie da mercante davanti ad alcuni mali della società ("quelli che la mafia non ci risulta, oh yes"). O il cinismo mascherato di ironia di "Vengo anch'io, no tu no!", e dove tutto sommato ci aveva visto giusto con il suo mondo migliore dove ognuno "si è già pronto a tagliarti una mano", o dove la gente piange ai funerali perchè dopotutto è una cosa normale.

Il Milan, il grande amore - Jannacci aveva un grande amore sportivo, ed era il Milan. Gianni Rivera l'idolo assoluto. Rivera che ritorna più volte nelle sue canzoni, anche in Vincenzina e la fabbrica, nelle vesti di un giocatore dalle polveri bagnate, che non segna più e che non trascina più la squadra al successo, un ulteriore elemento di tristezza nella già triste vita di un'immigrata dal Sud che prova a sbarcare il lunario nell'alienante realtà della fabbrica. Proprio il Milan ha voluto esprimere il suo cordoglio per una perdita così grossa per la città; e proprio il Milan siamo certi che farà di tutto per dedicare la vittoria al suo illustre tifoso che ieri ha risposto per sempre la sua sciarpa rossonera.

E martedì, al suo funerale, la gente piangerà per davvero, come oggi piange la sua Milano battuta da una pioggia scrosciante.  

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