La Locomotiva di Berna è arrivata. La spiaggia di Copacabana è una discreta meta per riporre la bici in magazzino e gustarsi una caipirinha ipnotizzati dall'eco dell'oceano.
Un'immagine certo suggestiva ed evocativa, ma difficilmente riconducibile a Fabian Cancellara.
Siamo abituati a vederlo distruggere ogni cosa. Non importa se la vittima è un'imperfetta pietra delle Fiandre o uno sfortunato collega dal fisico terrestre.
Lui, Spartacus, il gladiatore programmato in laboratorio, preferisce il fango al mare, la potenza all'agilità, Roubaix a Parigi. E dopo tutti questi anni di dominio quasi meccanico sul mondo del ciclismo, ci risulta quasi impossibile immaginarlo in vesti rilassate senza un tempo da battere, un record da infrangere, una sfida da abbracciare con coraggio.
La vittoria della medaglia d'oro nella prova a cronometro delle Olimpiadi di Rio rischia di essere una delle ultime corse di un atleta che ha più volte sconfitto la fisica e le sue leggi, raggiungendo picchi di velocità e di esplosività sconosciuti ad un uomo in sella ad una bici.
Il fuoriclasse svizzero si è presentato all'appuntamento olimpico come un outsider di lusso, un appellativo insolito per lui in una prova contro il tempo. La strada, quest'anno, aveva dato verdetti diversi ed in tanti pensavano che la medaglia più pregiata fosse un affare britannico-olandese, con Froome e Dumoulin a giocarsi la vittoria. E invece Fabian Cancellara ha letteralmente dominato la competizione. Uno scenario visto e rivisto più volte in oltre 15 anni di carriera per un corridore che è universalmente riconosciuto come il più grande cronoman della storia del ciclismo.
Quattro titoli iridati e due allori olimpici parlano per lui.
A fine anno Cancellara smetterà di correre e non è chiaro ancora quale possa essere il suo programma nel finale di stagione. Alcuni pensano che la prova olimpica possa essere addirittura la sua ultima gara, più probabile invece vederlo ancora una volta protagonista ai mondiali, alla ricerca di un ultimo successo prestigioso, un'ultima stazione da conquistare.
Migliaia di persone, davanti alla tv e lungo le strade del percorso brasiliano, hanno fatto il tifo per lui, sperando nell'epilogo che un campione di questa portata meritava. Lo svizzero ha provato a lasciare il segno per l'ultima volta al Fiandre e alla Roubaix, ma Peter Sagan ed una caduta gli hanno negato un'altra pietra da aggiungere al suo muro franco-belga.
Lungo gli impegnativi 54,6 km della crono brasiliana, invece, Cancellara ha disegnato il suo personale capolavoro, un saggio di potenza, esperienza ed abilità nella guida della bici che per tanti anni lo hanno reso un mostro sacro. Gli avversari lo hanno visto con il binocolo. Dumoulin, uno dei migliori interpreti delle prove contro il tempo negli ultimi dodici mesi, si è dovuto accontentare dell'argento con ben 47 secondi di ritardo. Chris Froome, il signore giallo degli ultimi due Tour de France, ha vinto il bronzo pagando più di un minuto.
Una prova di forza del più forte per eccellenza. Nel ciclismo moderno è difficile vedere un atleta essere competitivo durante tutto l'anno: dalla Sanremo al Mondiale, passando per le classiche del Nord ed il Tour de France. Cancellara lo ha fatto senza avere uno spunto particolarmente veloce o un'attitudine per le salite. Il suo fisico possente lo ha condannato beatamente a vincere dominando, che fosse sul pavè di Arenberg, sul muro di Grammont o in un prologo del Tour.
Lasciargli 5 metri nel finale di una corsa tirata significava rivederlo all'arrivo. Come un treno in partenza, ti lascia l'illusione e l'impressione di poterlo raggiungere correndo, salvo poi sparire dal tuo campo ottico.
Ora che la Locomotiva di Berna è arrivata, sarà più facile poter studiare i suoi segreti e rimembrare le sue gesta, ma sarà impossibile comprendere quel compromesso alieno di velocità e possanza.