Ne rimarrà soltanto uno. In tanti alla vigilia della prova in linea delle Olimpiadi erano pronti a scommettere sulla durezza del percorso di Rio 2016. E così puntualmente è stato.
La gara olimpica si è rivelata una delle competizioni ciclistiche più appassionanti ed estenuanti degli ultimi anni (regalateci anche un mondiale con un percorso simile!), con colpi di scena a ripetizione, un contesto paradisiaco ed un vincitore degno della medaglia che porta al collo: Greg Van Avermaet. Il corridore belga è infatti un talento straordinario, un atleta che ha raccolto troppo poco per il motore che si porta dietro.
Quest'anno, però, sembra avere trovato la scintilla giusta, quel bagliore che lo ha portato a vincere la Tirreno-Adriatico e a conquistare la maglia gialla al Tour dopo una splendida azione a Le Lioran. Van Avermaet ha saputo interpretare la gara in maniera esemplare, affrontando i suoi fantasmi sulla salita di Vista Chinesa e allontanandoli in maniera definitiva negli ultimi cinque chilometri, quando con un affondo disperato si è riportato su uno stoico Rafal Majka, giunto poi terzo dietro anche a Jakob Fuglsang.
Non era per nulla scontato prevedere un Van Avermaet in grado di reggere il ritmo dei migliori su un tracciato così impegnativo, con un salita di oltre 8 km a tagliare come un coltello le gambe dei corridori meno avvezzi agli sforzi prolungati. E invece il fuoriclasse di Lokeren ha dimostrato di essere uscito dal Tour de France con una condizione invidiabile e di trovare una resistenza che sovente gli era mancata.
Lo ha fatto paradossalmente in una delle gare più dure dell'ultimo decennio. Perché la prova olimpica di Rio 2016 è stata un autentico stillicidio, una competizione ad eliminazione, disegnata ad arte da un regista anonimo e dalle spiccate capacità artistiche.
Il demiurgo brasiliano ha riservato una parte piuttosto beffarda a Vincenzo Nibali e alla squadra azzurra. Davide Cassani e i suoi hanno corso in maniera impeccabile, rendendo dura la corsa e costringendo i rivali più accreditati ad inseguire negli ultimi 30 km. Valverde e Froome, per citarne due, non hanno avuto la forza e la prontezza per rispondere agli attacchi portati da Nibali e Aru, giocandosi di fatto le speranze di medaglia prima dell'ultimo giro.
In tante occasioni abbiamo criticato, anche in maniera piuttosto aspra, le scelte tattiche della nazionale di Cassani. Una reprimenda impossibile da effettuare per una corsa disputata con coraggio, cuore ed esatta conoscenza dei ruoli e dei momenti giusti. Rosa, De Marchi, Aru e sopratutto un Damiano Caruso letteralmente monumentale, hanno lavorato tutti in funzione del capitano designato della vigilia: Vincenzo Nibali.
Il siciliano si è preso sulle spalle la pesante eredità di Paolo Bettini, eroe sul Partenone nel 2004 e signore iridato in quel di Salisburgo e Stoccarda. Proprio come Bettini nell'esaltante cavalcata di Atene, Nibali ci ha fatto alzare dal divano, come se un nostro urlo d'incitamento davanti alla tv potesse spingerlo verso l'alloro più pregiato.
E per lunghi tratti della salita di Vista Chinesa questa connessione emotiva sembrava potesse funzionare, con lo Squalo dello Stretto agile e sicuro sui pedali come non lo vedevamo da tanto tempo. La collina che sovrasta Cobacana si è trasformata per qualche attimo nel Colle dell'Agnello e nel Col de Hautacam.
Questa volta, però, il copione era diverso, il finale fatale e aspro. Quell'asfalto che già lo aveva accolto impunemente al Tour de France, in una frazione di secondo lo ha privato di una medaglia possibile.
Quello che il Fato gli aveva regalato nella discesa dell'Agnello, se l'è ripreso lungo le curve insidiose che portano alla spiaggia di Copacabana.
Vincenzo Nibali corre per sua natura sempre al limite, un modo di interpretare la corsa che lo ha portato a vittorie grandiose e a sconfitte altrettanto roboanti. Le Olimpiadi di Rio erano l'ultima opportunità per coronare una straordinaria carriera con una medaglia olimpica su un percorso che sembrava cucito su misura per lui.
Invece ricorderemo della sua gara a cinque cerchi solo la caduta a 80 km/h; quella sensazione di forza e maturità sull'ascesa conclusiva e quella emozione da cuore in gola trasformatasi improvvisamente in illusione.
Forse non è nulla o forse è moltissimo. Ma è stato bello.