Testa, cuore e attributi. Non è un segreto che l'Italia di Antonio Conte nascesse, alla vigilia di Euro 2016, sotto questi tratti che non richiamavano affatto tecnica e virtuosismi, calcio champagne o altro, bensì doti maggiormente consone ad una rosa che di talento ed individualità, per necessità, doveva farne a meno. Vigilia turbolenta, quella per il condottiero della Nazionale, che come spesso accade nella penisola della dea Eupalla ha dovuto navigare per i sette mari delle critiche post conovocazioni prima di godere delle luci della ribalta alla prima, roboante, affermazione.
L'apologia contiana risiede nell'indottrinamento, fisico, tattico, ma soprattutto mentale di una squadra che è specchio fedelissimo dell'agonismo e dell'animus pugnandi del suo condottiero. L'Italia si è confermata squadra difficile da battere per chiunque, anche per i folletti belgi, incapaci di creare un'azione degna di tal nome, con Wilmots che è uscito con il capo chino ed una sonora lezione tattica dal terreno di gioco di Lione. Inevitabile, a posteriori, affidarsi alla mera analisi di un'Italia catenacciara e figlia di soli contropiede, che può non piacere per estetica, ma in quanto a concretezza e cinismo è seconda a pochi. I sentori e le avvisaglie di una squadra corta e compatta, ad immagine e somiglianza del suo allenatore, c'erano tutti alla vigilia dell'Europeo, con Conte che ha plagiato a mo' di Leonida alle Termopili i suoi all'interno della sua trequarti, raddoppiando sistematicamente gli esterni con i suoi terzini in aggiunta ai centrali laterali e facendo scalare puntualmente le mezzeali sui terzini che si sganciavano, seppur di rado.
Il più che consolidato reparto arretrato ha conferito alla nazionale una tranquillità mentale non indifferente, mentre il lavoro di Conte, minuzioso e dettagliato, lo si è visto in fase di ripartenza, nel gioco di coppia dei due attaccanti - abili e precisi nello smistamento della sfera sugli esterni e nell'attacco della profondità - oltre che negli schemi di scuola Juventus e nella sana cazzimma dei Parolo e degli Eder, lucidi anche quando c'era da sacrificarsi per evitare un'idea di contropiede. Il gol dal quale scaturisce il vantaggio azzurro è azione provata e riprovata in quel di Vinovo, quando al posto di Giaccherini c'era Paul Pogba, con Bonucci interprete unico nel ruolo di sarto rifinitore: l'esito, sebbene la qualità dei protagonisti sia notevolmente differente, è stato per fortuna lo stesso. L'Italia, e soprattutto Conte, hanno portato il match su territori molto più congeniali alle nostre caratteristiche, snaturando e rallentando la loro manovra e soprattutto sfruttando quelle lacune di personalità che invece hanno fatto la differenza, infine, a nostro favore.
Ben oltre l'aspetto prettamente tattico c'è, inoltre, il lavoro psicologico sulla rosa, coesa e compatta alle dipendenze del mister: la capacità, forse unica, di Conte, è quella di aver creato un gruppo solido, su radici già ampiamente piantate e cresciute, che rema verso la stessa direzione. Aspetto mai sottolineato a dovere, concetto molto più astratto e di difficilissima realizzazione di quel che si possa pensare. Proprio in tal senso va dato a Cesare quel che è di Cesare, ed Antonio Conte si è ritagliato l'abito di leader assoluto di questa squadra che si risveglia sotto una luce diversa. Paradossalmente adesso, dopo la prima affermazione, viene il difficile: spegnere i bollenti spiriti, frenare l'esuberanza figlia dell'adrenalina del successo, confermandosi contro squadre che lasceranno l'iniziativa ed il pallino del gioco all'Italia sarà il secondo banco di prova da superare, per provare a scalare le gerarchie di un Europeo che sembrano ancora tutte da delineare. La strada, per ora, l'ha mostrata Conte, in barba ai detrattori della prima ora. Ed è più che affidabile.