Una vita ai Boston Celtics, con cui ha vinto un anello Nba nel 2008 e giocato un'altra finale nel 2010. Da elemento del supporting cast dei Big Three (Pierce-Allen-Garnett) a uomo franchigia in quel del Massachusetts, fino ad arrivare alla trade di quest'inverno con i Dallas Mavericks, la carriera di Rajon Rondo è stata un susseguirsi di up&down. Troppo umbratile e nevrile il playmaker di Louisville per essere catalogato in una categoria standard di giocatori Nba. Unico nel suo genere, Rondo rischia adesso di uscire dal palcoscenico più luminoso del basket che conta, finito in quella Sacramento da anni ai margini dell'impero, e che si affida soprattutto a lui per tornare a coltivare sogni di playoff.
Il general manager dei Boston Celtics Danny Ainge ha atteso sino al febbraio di quest'anno per capire cosa fare di Rajon: uomo su cui costruire la Boston del futuro o pedina di scambio per un rebuilding non più rinviabile? Dopo stagioni in chiaroscuro, condite anche da un grave infortunio al ginocchio (rottura del legamento crociato anteriore) e da un atteggiamento non sempre irreprensibile ed esente da critiche, Ainge ha scelto l'opzione B. Addio a Rondo e alle sue lune, al diavolo il talento quando questo è troppo imprevedibile per essere gestito. Eppure, in una Lega come l'Nba il numero 9 da Kentucky non è certo il solo a far ammattire allenatori e dirigenti. Josh Smith (appena passato ai Clippers, e anarchico per eccellenza), Demarcus Cousins, il primo Zach Randolph, Nick Young alcuni degli esempi da non seguire quanto a genio e sregolatezza. Ma nessuno ha mai raggiunto i picchi di Rondo, capace di tenere in scacco l'intera Miami di LeBron James nella finale di Conference ad Est nel 2012, serie in cui giocò anche partite da 48 minuti senza un attimo di riposo. Così come in pochi hanno mostrato l'indisponenza e la discontinuità di Rajon, al punto che il suo ultimo allenatore Rick Carlisle non ha voluto saperne di ripetere l'esperienza, durata pochi mesi peraltro, di allenarlo quotidianamente.
Meteora ai Mavs, ora l'ex Boston Celtics deve capire quale versione di sè mostrare in California: quella del Dr. Rajon, passatore immaginifico e produttore seriale di triple doppie, o di Mr. Rondo, sotto al 50% ai tiri liberi, indolente sino all'inverosimile e difensore di squadra quantomeno rivedibile. Ai Kings troverà come allenatore George Karl, da sempre habitueè del genere "mad horses", che avrà l'arduo compito di gestirlo e renderne pacifica la convivenza con Cousins, per una coppia tanto spettacolare quanto elettrica. Già ai tempi del Garden di Boston l'atteggiamento di Rondo suscitava spesso le ire di Doc Rivers, con uno screzio in sala video nell'ultima stagione insieme a minarne definitavemente il rapporto. Amato e discusso, il tempo stringe per il buon Rajon: troppi i detrattori da zittire e le ironie sul suo conto da spegnere, per ritornare un All Star, elite di una Lega che sta producendo negli ultimi anni un numero elevatissimo di fenomenali point guard (Chris Paul, Russell Westbrook, Stephen Curry, Kyrie Irving, John Wall, solo per fare alcuni nomi).
Kobe Bryant lo avrebbe voluto ai Lakers, ma il G.M. Mitch Kupchak ha preferito puntare sulla scelta numero due del Draft 2015 D'Angelo Russell, altro play di talento pronto ad esplodere. Ne ha approfittato Vlade Divac, pronto a trasformare il benservito di Carlisle nel colpo dell'estate per la sua Sacramento, dove si augurano di vedere la versione migliore di Rondo, senza essere costretti ad invocare la penna di Robert Louis Stevenson per descriverne le gesta.